> Articoli
Libero (25 marzo 2012)
In Italia incentivi scesi del 21%, in Francia cresciuti del 15 dal 2009
Scarica l’articolo in formato PDF
Siamo in attesa oramai da tre anni che sia realizzata la riforma degli incentivi alle imprese e l’attuale ministro Passera è il terzo ministro per lo sviluppo economico che ci fa sperare nel compimento di uno dei tanti riordini in capo al governo.
Mi riferisco alla riforma promessa dal ministro Scajola con la legge delega n. 99/2009. L’unico effetto prodotto fino a ora è l’oscuramento di ogni informazione sugli incentivi pubblici tanto che dal 2008 il monitoraggio degli aiuti alle imprese del Mise non è stato più realizzato. La delega è stata lasciata scadere e con ciò si è persa un’occasione per razionalizzare le iniziative di politica industriale. Fortuna che lo scorso 30 gennaio i capi di Stato dell’Ue, dopo i vincoli del fiscal compact, hanno stretto impatto per il rilancio, attraverso la riprogrammazione dei fondi strutturali, la promozione degli strumenti a sostegno delle Pmi, un nuovo ruolo della Bei oltre che la rimozione degli oneri amministrativi. A livello nazionale la risposta è arrivata solo sull’ultimo punto con il Dl semplificazioni, perché per ogni iniziativa che tocchi la borsa bisogna aspettare. Certo il dato stimato daUnioncamere di 16,6 miliardi di euro di costo della burocrazia per le imprese, di cui 11,6 miliardi per le sole micro e piccole, evidenzia la potenziale significatività economica di questo decreto. A onor del vero va anche detto che lo stesso si inserisce in una serie di iniziative volte a ridurre il 25% degli oneri entro il 2012 in coerenza con “Europa 2020″, impegno che non è ascrivibile solo al Governo Monti, se si pensa, ad esempio, al “Tagliaoneri amministrativi” del DI 112/2008 e a quanto recensito dal rapporto “Imprese e Burocrazia” da 6 anniaquestaparte.
Confindustria non suona più la litania della solita questua d’incentivi. Forse ha ritenuto prioritario impegnare i propri sforzi nel contenere l’aggravio fiscale e il credit crunch bancario. E come dare torto agli industriali che, consapevoli della mancanza di risorse finanziarie, sono passati a chiedere contenimento della pressione fiscale e interventi sugli intermediari bancari allentando, in piena sintonia con il sentire di uno stato liberale, larichiesta d’incentivi. Peccato che per quanto riguarda gli sconti fiscali le ultime manovre sono costate al sistema delle imprese un 3% in più di carico impositivo, qualche miliardo di euro, e che per quanto riguarda il credito alle imprese, queste scontano uno dei più gravi credit crunch e un aggravio dei costo del denaro solo per il 2012 trai 5,5 e gli 8,8 miliardi di euro. In questi giorni, però, proprio il ministro Passera ha annunciato che la riforma è pronta. Mi sembra però di capire che le risorse addizionali non ci saranno, rinviando agli esiti della spending review e ai risultati della lotta all’evasione le nuove iniziative per lo sviluppo. Ma se si deve alimentare lo sviluppo, cosa che la Francia sta facendo visto che i suoi regimi d’aiuto sono cresciuti a una media annua del 15% nell’ultimo triennio, a differenza dell’Italia che ha registrato una contrazione del 21%, dobbiamo mettere in gioco più risorse. Se anche lo spread fa ben sperare i più ottimisti, dobbiamo essere consapevoli che abbiamo comprato solo tempo senza incidere sui fondamentali: produttività e competitività.
L’analisi Met del professor Brancati del 2010, di cui attendiamo la prossima edizione, aveva evidenziato che a soffrire la crisi erano proprio le imprese che avevano più investito in ricerca e internazionalizzazione, investimenti questi che, producendo ritorni nel medio termine, hanno lasciato le imprese in mezzo al guado. Queste imprese segnalano un impatto negativo per occupati, fatturato e prezzi praticati di almeno il 4-7% in più rispetto ad altre imprese e nelle relazione con le banche scontano condizioni peggiorative tra il 3% e il 6%. Per questo servono risorse e interventi di defiscalizzazione e, in assenza di risorse aggiuntive, non resta che un taglio drastico alla parte più improduttiva del sistema, quella pubblica. Dunque, attendiamo la riforma!