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Finanza&Mercati (29 maggio 2012)
La fine del federalismo e il via a nuove tasse
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Il 20 aprile scorso con l’approvazione della legge costituzionale 1/2012 a Palazzo Madama è stata varata la riforma che impone il pareggio di bilancio, con cui si è tracciata la strada senza ritorno della tassazione a oltranza e si è definitivamente invertita la rotta del federalismo. È scioccante come, sull’onda della demagogia del rigore, sia stata inaugurata in totale sordina una riforma devastante che porterà a più tasse per cittadini e imprese e a espropri istituzionali a discapito degli enti territoriali.
Il pareggio di bilancio, o meglio, com’è stato nomiate, l’equilibrio di bilancio – nella differenza si nasconde la classica furberia italiana – si
può infatti raggiungere aumentando le entrate da prelievo fiscale o riducendo la spesa pubblica: è chiaro che tra le due gli amministratori preferiranno la prima, cioè tassare e tassare sempre di più. Incrementando l’imposizione fiscale, infatti si prendono due piccioni con una fava: si garantiscono sia i mercati finanziari, sia il potere politico e la sua corte di burocrati di Stato, che possono così perpetuare la propria influenza grazie all’intermediazione di denaro pubblico.
Pur condividendo l’intervento volto a evitare sforamenti di bilancio e incremento del debito pubblico, che altro non è che una tassa postergata, andrebbe però anche difeso il diritto del contribuente a premettere il proprio sostentamento e quello del proprio nucleo familiare al prelievo fiscale. Mi riferisco a quanto attuato in Germania con il Familienexistenzminimum elaborato dalla Corte di Karlsruhe e riportato in alcuni suoi scritti dal professore Luca Antonini, presidente della Commissione tecnica paritetica per l’attuazione del federalismo fiscale (Copaff). Con tale intervento la corte tedesca ha imposto al legislatore una tax expenditure generalizzata, l’obbligo cioè di esentare dall’imposizione quanto è necessario al mantenimento della famiglia, affermando che il reddito deve essere tutelato quale strumento per la libertà personale. Il combinato disposto dei due vincoli costituzionali, al debito e alla tassazione, in caso di squilibrio di bilancio obbligherebbe, in Germania e
diversamente da quanto accade e accadrà in Italia, a ridurre la spesa pubblica e a tassare solo entro certi limiti.
Con la riforma varata che modifica, oltre all’articolo 81, anche gli articoli 97 e 119 della nostra Costituzione, si smontano, inoltre, in un sol colpo il federalismo e l’autonomia finanziaria degli enti territoriali.
Con il novellato articolo 97 anche le pubbliche amministrazioni sono costituzionalmente obbligate ad assicurare l’equilibrio dei loro bilanci e la sostenibilità del debito pubblico. E fin qui nulla da eccepire, se non che agli enti locali non sono concesse le flessibilità concesse allo Stato in caso di recessione, crisi e calamità naturali. Il problema non è tanto l’obbligo nomiate, quanto le garanzie per conseguirlo.
La modifica dell’artìcolo 119 subordina l’autonomia finanziaria e di spesa dei comuni e abilita in legge finanziaria il governo a definire, tra le altre cose, «le modalità attraverso le quali i comuni, le province, le città metropolitane, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano concorrono alla sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni». Se in passato era ritenuto legittimo imporre agli enti territoriali obiettivi di bilancio, non lo era dispome il come, tanto che molte delle norme che vincolavano specifici tagli di spesa, sono state oggetto di ricorso costituzionale.
Il risultato è che gli enti territoriali subiranno il fatto che lo Stato centrale disponga in dettaglio dove tagliare e come organizzare le proprie amministrazioni. Basterà una norma per tagliare la garanzia di tutele socio – assistenziali, servizi pubblici locali, interventi urbanistici, etc. Diventa dunque chiaro come Bondi “mani di forbice” sarà abilitato a muoversi anche su regioni ed enti locali con i tanto vituperati tagli lineari, visto che dopo i reiterati ritardi nella definizione dei costi standard e dei livelli essenziali di prestazioni non potrà operare diversamente.
Forse è un’interpretazione maliziosa che lascio dipanare ai costituzionalisti, ma, come si dice, due indizi rischiano di fare una prova. La stessa modifica dell’articolo 119 dispone che “I comuni, le province, le città metropolitane e le regioni possono ricorrere all’indebitamento solo per finanziare spese di investimento con la contestuale definizione di piani di ammortamento e a condizione che per il complesso degli enti
di ciascuna regione sia rispettato l’equilibrio di bilancio». Ciò vuol forse dire che se un comune virtuoso grazie al rispetto degli equilibri di bilancio realizza investimenti non lo può fare se se altri comuni dissennati non li hanno rispettati? Dove abbiamo buttato l’autonomia finanziaria del federalismo e dove la tanto agognata meritocrazia?