“Molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità, molto ragionamento e poca osservazione conducono all’errore”.

A. Carrell

“Ragionevole designa colui che sottomette la propria ragione all’esperienza”.

J. Guitton

“Coloro che hanno una fede eccessiva nelle loro idee, non sono adatti a fare esperienze”.

C. Bernard

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Finanza&Mercati (10 aprile 2012)

Spending review, mano alle forbici

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Nel 1951 la spesa pubblica in Italia era pari al 23,6% del prodotto intemo lordo, nel 2010 ha raggiunto ben il 51,2%. Questa la fotografia della dinamica della spesa pubblica presentata dal professore Piero Giarda lo scorso anno in un rapporto di 51 pagine, che illustra come la spesa generi un saldo di bilancio negativo e cresca con un’intensità maggiore rispetto al Pil. Con il risultato che nel 2010 la spesa si è attestata su 793 miliardi di euro e i soli consumi collettivi, al netto cioè di pensioni, previdenza, contributi alla produzione e interessi, su 254 miliardi di euro dai 113 del 1970. Più che raddoppiando, in sostanza, in quarant’anni e aumentando del 39% in più dei consumi privati. Un’evoluzione incredibile,
che ha caratterizzato la spesa corrente, visto che quella in conto capitale, ovvero gli investimenti, ha avuto un’incidenza sul totale via via sempre più bassa (dal 16,5% nel 1951 al 6,8% nel 2010).
Questo lievitare della spesa è figlio sia di politiche di welfare sempre più «money consuming», sia dell’inefficienza, delle diseconomie e delle patologie di una macchina pubblica «idrovora». Se con la riforma delle pensioni si è inciso duramente sul fronte del welfare, non v’è stato lo stesso vigore e la stessa determinazione nei tagli al resto della spesa pubblica.
Eppure, emulando gli inglesi, da molto tempo si parla di revisione fisiologica della spesa o spending review, dal riferimento dell’ex ministro Domenico Siniscalco, ispiratosi alle misure di James Gordon Brown del 2004, all’iniziativa del compianto Tommaso Padoa-Schioppa, che ha dato dignità normativa alla revisione della spesa inserendola nella legge finanziaria 2007 (L. 296/2006 arti, comma 480). Da allora, sebbene diverse manovre l’abbiano istituzionalizzata, i tagli sono rimasti pressoché lettera morta. Aspettiamo dunque gli esiti dell’impegno che l’attuale Governo ha assunto con un’ipotesi di riduzione della spesa di 5 miliardi di euro, la cui ufficialità e relativa quantificazione è però rinviata alla fine di aprile. Le previsioni, tuttavia, mi sembrano molto tìmide per l’emergenza in cui vertìamo, generando un gettito di qualche miliardo di euro pari a soli 0,3-0,4 punti di Pil rispetto ai 3 punti di cui necessiteremmo solo per rispettare l’impegno di ridurre il debito pubblico in venti anni dal 120% al 60% del Pil. Manovra ancor più modesta se paragonata a quella del Tesoro inglese, cui pure ci ispiriamo, che ha varato una spending review di 80 miliardi di sterline, compreso il taglio di 710mila posti di lavoro nel settore pubblico per crearne in un quinquennio 1,7 milioni nel privato. Proprio su questo punto vale la pena aggiungere un appunto tratto dalla preziosa ricognizione a cura di Luigi Fiorentino per Astrid ed edita da II Mulino: i redditi da lavoro dipendente rappresentano ben il 56,6% delle spese per consumi finali nella Pa, pari a 171 miliardi di euro nel solo 2010. È impensabile che una simile quota di spesa sia esentata da una seria revisione, considerato peraltro che per la maggior
parte la lievitazione dei costi dei dipendenti pubblici è ascrivibile all’incremento della retribuzione procapite più che al numero. Infatti, mentre i dipendenti pubblici soI refluiti Qa no rimati quasi lavoro pesano invariati, passando da 3,524 a 3,611 milioni nel periodo 2000-2008, soprattutto in virtù dei rapporti a tempo determinato, la retribuzione media è cresciuta nello stesso periodo del 36,4%, passando da 24.741 a 33.746 euro
procapite lordi. Certo saranno compresi in questa quota anche lavoratori pagati poco per le proprie professionalità e dedizione, ma anche altrettanti di scarso rilievo professionale o ridondanti rispetto alle funzioni che devono svolgere. Bisognerebbe avere il coraggio di applicare finalmente anche ai dipendenti pubblici un serio piano di revisione volto a sfoltire gli organici secondo logiche di efficienza e principi meritocratici e non con i vecchi tagli lineari.
Strumenti e modi non mancano, serve volontà politica e un politico alla Margaret Tatcher che la interpreti.

 
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