“Molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità, molto ragionamento e poca osservazione conducono all’errore”.

A. Carrell

“Ragionevole designa colui che sottomette la propria ragione all’esperienza”.

J. Guitton

“Coloro che hanno una fede eccessiva nelle loro idee, non sono adatti a fare esperienze”.

C. Bernard

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Libero (3 aprile 2012)

Lo Stato è in debito di 70 miliardi. Le aziende ne pagano due di oneri

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Centosessanta sono i giorni necessari a soddisfare le esigenze fiscali dello Stato prima di poter disporre di risorse per sé e la propria famiglia; 28 i giorni che servono all’impresa in un anno per evadere gli adempimenti amministrativi e 180 quelli che ci impiega la Pa a onorare i propri debiti con circa 90 giorni di ritardo. Questi dati, forniti rispettivamente da Cgia Mestre, Fondazione Promo PA e Intrum Justitia, descrivono solo una parte degli impatti negativi della macchina pubblica sulla competitività del Paese e i valori economici sono ancora più impressionanti.
Il Presidente della Corte dei Conti, Luigi Giampaolino, ha dichiarato che ci avviamo verso un livello di pressione fiscale che ha pochi paragoni nel mondo e che gli sgravi necessari per riportare a livello europeo il prelievo sui redditi da lavoro e da impresa si aggirerebbero sui 50 miliardi di
euro. 16,6 miliardi di euro sono gli oneri indotti in Italia per gli adempimenti amministrativi stimati da Unioncamere, 12.334 euro in media per ogni azienda.
Aggravi impressionanti che sulle micro e piccole imprese incidono ancor più pesantemente: laddove, infatti, una grande azienda spende per oneri burocratici un euro per addetto, una media azienda ne spende quattro e una piccola ne spende addirittura dieci.
I ritardi cronici nei pagamenti della Pa sono diventati una vera e propria piaga rappresentata da uno stock di ben 70 miliardi di crediti e un onere finanziario connesso che nel 2010 il Consiglio nazionale dei dottori commercialisti ha stimato in circa 1,9 miliardi di euro.
Cifre tutte queste troppo ingombranti per pensare che senza una decisa correzione si possa liberare il protagonismo della società civile per rilanciare l’economia. Cosa si aspetta allora a comprimere il perimetro della parte meno competitiva, più onerosa e meno flessibile ovvero quella
pubblica? Ciò vuol dire una revisione della spesa (spendig review) importante, non come quella programmata che, da un lato, risulta debole nell’approccio difendendo ancora il concetto di spesa incomprimibile e perseverando nei tagli lineari e, dall’altro, insignificante nei valori ipotizzando un gettito di qualche miliardo di euro, 0,3-0,4 punti di Pil, contro gli 80 miliardi di euro obiettivo dell’Inghilterra.
E soprattutto troppo lunga nei tempi attuativi, dato che se ne parla dal 2007 quando Tommaso PadoaSchioppa la inserì nella legge finanziaria 2007, per poi essere resa permanente dalla finanziaria 2008 e istituzionalizzata dalla riforma della legge di contabilità dell’anno dopo, nonché ripresa più di recente nelle manovre estive del 2011 fino all’impegno assunto dal Governo Monti da evadere per fine aprile. Tante previsioni normative, dunque, ma di tagli e inversione di tendenza nella crescita della spesa pubblica non se ne sono visti! Se è necessario operare una forte correzione delle regole del mercato del lavoro, mi domando come sia pensabile lasciare che il pubblico rimanga ancora un esercito pietrificato.
Si dice che l’articolo 18 si fermi ancora di fronte ai dipendenti pubblici, confermando il tabù che nel tempo ha consolidato la schiera di privilegiati della “casta” pubblica a discapito della “plebe” privatistica, eppure il Testo Unico sul pubblico impiego contrattualizza il
rapporto di lavoro e lo subordina al Codice civile. In Inghilterra non è scandaloso che l’Office for Budget Responsibility preveda di eliminare 710 mila posti di lavoro nel pubblico per crearne 1,7 nel privato.
Quando, in nome della sussidiarietà, il protagonismo della società civile anche da noi riavrà lo spazio occupato impropriamente e inefficacemente dalla macchina pubblica? Il neo designato presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, avrà molto da lavorare per fare capire anche al Governo
tecnico di Monti che, per Pag. 1dimostrare di essere migliori degli altri, è necessaria un’inversione di rotta su questi temi.

 
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