“Molta osservazione e poco ragionamento conducono alla verità, molto ragionamento e poca osservazione conducono all’errore”.

A. Carrell

“Ragionevole designa colui che sottomette la propria ragione all’esperienza”.

J. Guitton

“Coloro che hanno una fede eccessiva nelle loro idee, non sono adatti a fare esperienze”.

C. Bernard

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fallimento

IlSole24ore (23 dicembre 2013)

Strumenti Finanziari e Fondi UE

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Con l’approvazione del bilancio dell’Unione Europea e dei regolamenti sui Fondi Strutturali, la programmazione delle risorse comunitarie per il settennio 2014-2020 entra nel vivo. Il budget per l’Italia è cospicuo: circa 64 miliardi di euro a cui vanno aggiunti 54 miliardi del Fondo di Sviluppo e Coesione. Queste risorse hanno il pregio, in un contesto di finanza pubblica totalmente instabile, di essere le poche risorse certe per il futuro, e questa è la ragione per cui vanno sfruttate per affrontare energicamente la crisi. Purtroppo lo scorso settennio (2007-2013) venne programmato prima che la crisi si esplicitasse, e scelte programmatiche e regole per l’uso delle risorse dovettero essere successivamente adeguate alla situazione, perdendo tempo e, in parte, efficacia nell’affrontare quella che per i più sembrava solo una congiuntura negativa. Oggi non ci sono più alibi: sono quasi 10 mila i fallimenti d’impresa nei primi 9 mesi dell’anno e la contrazione del credito, nell’ordine di 50 miliardi (-5,5%) per l’anno in corso, non accenna a diminuire. Proprio per questo la bozza d’Accordo di Partenariato appena trasmessa a Bruxelles dal Ministro Trigilia prevede che si debba mettere “l’impresa, in tutte le sue declinazioni, al centro delle politiche economiche” e che una delle priorità su cui investire sia “l’accessibilità al credito e al capitale di rischio”. Ciò trova una leva indispensabile nell’attuale disciplina (art. 32-40 del nuovo Regolamento sui Fondi strutturali) che, dopo il primo periodo di sperimentazione, consolida la possibilità d’investire, in partnership con intermediari di mercato, risorse comunitarie attraverso Strumenti Finanziari (prestiti, garanzie, capitale di rischio) alternativi o abbinati a contributi a fondo perduto. L’alternativa non è indifferente sia perché così le risorse, seppur agevolate, verranno nel tempo restituite e potranno alimentare nuove iniziative, sia perché abbinate a quelle private potranno moltiplicarsi. Se nella prossima programmazione si investisse almeno il 10% delle risorse disponibili in strumenti finanziari si potrebbe tranquillamente mettere a disposizione delle imprese, in funzione degli strumenti e dei moltiplicatori che si chiederanno, dai 60 ai 100 miliardi, somma in grado di compensare la contrazione del credito di questi ultimi anni. Si aggiunga che ciò potrebbe rendere disponibili nel 2020, dai 4 ai 7 miliardi da rimettere nuovamente in gioco nella successiva programmazione. Inoltre si attiverebbe un moltiplicatore di efficacia, oltre che finanziario, poiché gli intermediari finanziari coinvolti saranno incentivati a supportare iniziative meritevoli, selezione che il sistema pubblico non sempre è in grado di garantire. Il 10% non è una scelta impossibile: già in questa programmazione, infatti, l’Italia ha stanziato risorse comunitarie in strumenti finanziari per più di 3 miliardi di euro, una cifra modesta se consideriamo le risorse dell’UE a disposizione, ma comunque più di ogni altro partner comunitario. Sembra però che molti rappresentanti della classe politica e della struttura amministrativa preferiscano un ritorno al fondo perduto, il tutto giustificato dal fatto che le risorse stanziate per strumenti finanziari sono state spese solo per poco più di un terzo (34,2%), cifra documentata dall’ultimo monitoraggio UE. Ma va detto che c’è tempo fino al 2015 per completare gli investimenti e che tale performance non è molto diversa da quella degli altri Paesi, la media UE risulta infatti di soli tre punti percentuali più performante (37,3%). Per un miglior risultato basterebbe fare tesoro delle esperienze di questi anni e optare per gli strumenti che hanno consentito di spendere di più, come le garanzie, per cui la quota di spesa è del 58%, o finanziare in misura maggiore capitale d’esercizio oggi pienamente legittimato dalle norme appena approvate (art.32). Il mondo finanziario è pronto a prendere al volo questa occasione su cui “giocare” il futuro delle imprese e il proprio. Sono coinvolte la comunità dei confidi, quella del private equity, ma ancor più quella degli intermediari finanziari tradizionali, operatori privati a cui, nella scorsa programmazione, è stato affidato in gestione solo il 38% delle risorse impiegate in strumenti finanziari, privilegiando invece gli operatori pubblici, scelta che d’altro canto dovrebbe aver permesso a tutti di condividere competenze per affrontare in misura più efficace le gestioni future. La nuova disciplina ha, infatti, qualche elemento di criticità (modalità di rendicontazione dei costi, sistema dei controlli, remunerazione dei gestori, vincoli sui regimi d’aiuto), ma l’elemento più critico da presidiare per il futuro è l’esigenza di una maggiore complementarietà tra Pubblica Amministrazione e intermediari finanziari, occorre infatti una più marcata osmosi di competenze che garantisca una PA finanziariamente più preparata e intermediari più istituzionali con competenze pubblicistiche adeguate alle richieste di Bruxelles. E questa complementarietà dovrebbe svilupparsi già dalla programmazione dei nuovi interventi finanziari perché, con le nuove regole, per attivarli Regioni e Ministeri sono obbligati a redigere valutazioni di fattibilità ex ante, che diano ragione della loro utilità e delle loro modalità attuative. Ma il tempo per questo confronto, e soprattutto il tempo per ottemperare alla scelta di destinare risorse per finanziare le imprese, ha i giorni contati, perché entro i primi mesi dell’anno prossimo occorrerà ratificare l’Accordo di Partenariato e, nel frattempo, fallisce più di una impresa italiana ogni ora che passa.

 
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